
Secondo il diritto vigente l’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento sono due istituti diversi.
L’assegno di mantenimento, che presuppone il perdurare del vincolo matrimoniale pur nella condizione separativa, è fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale, ed è correlato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio di cui tendenzialmente deve garantire la conservazione, anche se non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell'ordinaria diligenza, il richiedente sia effettivamente in grado di procurarsi da solo.
L’assegno di divorzio, invece, presuppone lo scioglimento del vincolo e che gli ex coniugi intraprendano una vita autonoma, per cui residua solo un vincolo di solidarietà post-coniugale, con più forte rilevanza della autoresponsabilità, che a seguito del divorzio diventa individuale, sicché entrambi sono tenuti a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità.
La funzione assistenziale dell’assegno di divorzio è quindi diversa da quella dell’assegno di separazione e non risponde alla esigenza di perequare, sempre ed in ogni caso, la disparità economica tra le parti.
In tema di assegno divorzile, di esigenza assistenziale può parlarsi, secondo la giurisprudenza, quando l’ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto procurarsele, con la conseguenza che non può affrontare autonomamente, malgrado il ragionevole sforzo che gli si può richiedere in virtù del principio di autoresponsabilità, il percorso di vita successivo al divorzio.
La sola funzione assistenziale può giustificare l’assegno divorzile, ma in tal caso l’assegno resta parametrato tendenzialmente ai criteri di cui all’art. 438 c.c., ossia in proporzione del bisogno di chi lo richiede e delle condizioni economiche di chi deve corrisponderlo.
Diversamente, ove ricorra anche la funzione perequativa compensativa, se lo squilibrio economico sia conseguenza delle scelte fatte nella vita matrimoniale, esso va parametrato al contributo che il richiedente dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale.
Il Giudice deve operare, quindi, una complessiva ponderazione dell'intera storia della coppia, rendendo anche una prognosi futura, ove parità e solidarietà si coniugano con il principio di autoresponsabilità, svincolando l’assegno dal criterio del tenore di vita, parametrandolo invece a un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.
La giurisprudenza (Cass. ordinanza 25495/2025) ha determinato che questi principi sono senz’altro valevoli anche in tema di assegno “divorzile” chiesto a seguito di scioglimento della unione civile.
L’unione civile consente di formalizzare e dare rilevanza giuridica piena al rapporto tra due persone legate da una relazione omoaffettiva, è istituto diverso dal matrimonio, si può sciogliere con minori formalità e non conosce la fase della separazione e gli istituti ad essa connessi, come l’assegno di mantenimento. Ad essa si applica però - per espressa disposizione di legge - il comma 6 dell’art. 5 della legge sul divorzio, secondo i principi già elaborati dalla giurisprudenza in tema di scioglimento o cessazione effetti civili del matrimonio.
Pertanto, il Giudice, quando si trova a trattare lo scioglimento di un’unione civile, deve verificare, ai fini del requisito assistenziale, se le risorse, attuali e potenziali, di cui gode chi richiede l’assegno siano sufficienti (o meno) ad assicurargli una vita dignitosa e autonoma, anche se attestata su un tenore di vita più basso di quello che le risorse del suo partner gli avrebbero consentito.
Quanto alla funzione compensativa, essa presuppone non soltanto un sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, ma anche un contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla famiglia, e segnatamente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell'altro componente della coppia, anche sotto forma di risparmio.
Il richiedente è così tenuto a dimostrare di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell'assistenza della famiglia e dei figli, ovvero altre forme di contributo alla carriera del coniuge e alla formazione del suo patrimonio o del patrimonio comune.
In altre parole, quando si parla di funzione compensativa dell'assegno di divorzio, si valuta non soltanto il sacrificio che uno dei due abbia fatto, ma lo scopo e il frutto di questo sacrificio, perché la condotta di ciascuno dei due deve essere coerente con quello che è l'impianto solidaristico proprio non soltanto del matrimonio, ma anche dell'unione civile, formazione sociale connotata da doveri di assistenza morale e materiale al pari del matrimonio.
Pertanto, nell’ambito della unione civile l’assegno divorzile può riconoscersi ove, previo accertamento della inadeguatezza dei mezzi del richiedente, se ne individui la funzione assistenziale e la funzione perequativo - compensativa.
Con la precisazione che la sola funzione assistenziale può giustificare il riconoscimento di un assegno, che in questo caso non viene parametrato al tenore di vita, bensì a quanto necessario per soddisfare le esigenze esistenziali dell’avente diritto. Se invece ricorre anche la funzione compensativa, che assorbe quella assistenziale, l’assegno va parametrata al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale dell’altra parte.
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